Qualcosa sta cambiando, forse non soltanto in ambito politico. La Turchia, per la prima volta dopo circa un decennio di immobilismo governativo, si avvia a rimettere in discussione i suoi rappresentati e, soprattutto, l’AKP, primo partito del paese.
Lo schieramento, è noto ai più, persegue degli ideali conservatori improntati sul rigido rispetto delle norme religiose che regolano la vita spirituale degli abitanti della Turchia. Sebbene l’AKP resti in assoluto il partito che raccoglie più tesserati e preferenze, nel corso delle ultime votazioni queste sarebbero scese al di sotto della soglia del 41%. Ciò significa che, in osservanza delle leggi espresse nella costituzione del paese nordafricano, l’AKP dovrà presto dar vita ad un governo di coalizione e trovare intese con gli esponenti dell’opposizione.
Qualora non si procedesse verso la formazione di un esecutivo di coalizione, si prospetta già sin da adesso la possibilità di nuove votazioni o, in alternativa, la presa di potere da parte di un governo comunque di minoranza (ipotesi al momento molto più accreditata rispetto alle altre).
Erdogan, finora leader indiscusso, ha visto negli ultimi tempi decrescere il suo potere a vantaggio di Demirtas, promotore dell’accantonamento delle lotte intestine tra turchi e curdi. Che questi dati siano da leggere come il segno del cambiamento dei tempi? La Turchia è ufficialmente pronta ad affrontare quelle grosse rivoluzioni politiche, sociali e, di conseguenza, economiche tanto auspicate dagli organizzatori delle primavere mediorientali? Lo scopriremo sicuramente a breve, l’importante è che tutti gli stravolgimenti epocali incontro a cui potrà andare il paese siano vissuti senza spargimenti di sangue…