Dovevamo aspettarcelo: anche le cambiali, vecchio sistema creditizio molto diffuso nel primo dopoguerra, hanno rifatto capolino nell’economia italiana. Potremmo dire che, ancora una volta, la crisi è riuscita a cambiare le nostre dinamiche commerciali o, scenario ancor meno allettante, che ci ha costretto ad un tuffo nel passato.
Le cambiali, titoli di credito che consentono all’acquirente di rimandare il momento in cui corrispondere al venditore l’importo dovuto per l’acquisto di un qualsiasi bene, trovano ultimamente largo impiego nel settore dell’edilizia e della produzione industriale legata all’attività di piccole e medie imprese.
All’emissione di un “pagherò“, purtroppo, sempre più spesso, segue un protesto. Ciò perché colui il quale si è impegnato a versare in un prossimo futuro una somma a riscatto del bene acquistato, si ritrova nella triste condizione di non poter far fronte ai suoi impegni. Questo significa che, anche se sempre più media e addetti ai lavori sostengono il contrario, la crisi non è stata esattamente archiviata, o in alternativa, che gli strascichi della stessa continuano a farsi sentire con una certa insistenza.
Tale fenomeno, soprattutto in precise aree geografiche del “belpaese” (almeno secondo i dati raccolti dalla Gextra) avverrebbe circa nel 300% dei casi, una percentuale che non può non destare sgomento. A quanto pare le cambiali avrebbero una certa diffusione nelle regioni del centro e del sud Italia e coprirebbero un giro d’affari superiore ai 1600 miliardi. Ci auguriamo solo che questo, come tanti altri, possa presto essere classificato come un fenomeno di transizione, un tentativo della nostra economia di rilanciarsi.